Anna Barricelli
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Anna Barricelli
ALCHIMIE DELL’ANIMA: IL MITO E LE SUE METAMORFOSI
La pittrice d’origine rumena Doina Botez, per elezione cittadina romana, ha saputo coniugare nelle sue tele i colori squillanti delle tradizioni popolari del suo Paese natale con i portati di un espressionismo storico presente anche nelle avanguardie artistiche della Romania fra gli anni ’10 e ’50 del ‘900.
I soggetti delle sue opere vanno però spostati più indietro nel tempo e collegati alle antiche mitologie greco-romane tramandate da Ovidio nei distici elegiaci delle Metamorfosi.
L’artista è interessata in particolare al mito del giovanetto Narciso, vanesio ammiratore di se stesso in uno specchio lacustre, e che rivisita quasi in chiave psicoanalitica.
L’elemento essenziale dell’evento è l’acqua, sorgente di vita oltre che di rinascita, che si fa specchio, doppio ed eco: non a caso Eco è il nome della ninfa che ama Narciso di un amore non corrisposto che la distruggerà – Dissoluzione di Eco. Ma l’acqua restituisce solo l’immagine riflessa dell’uomo, epifania smagliante in superficie, sustanziata però dalla torbida essenza dell’acquitrino: Dittico con Eco allo stagno e Memorie dell’acqua, come nelle Metamorfosi 2 (vedi catalogo della mostra personale in Castel Sant’Angelo di Roma del 2009) dove Eco nel suo continuo divenire si sdoppia in Ego ed Es condizionati nell’azione da Praxis o da Furor.
La metamorfosi avviene in momenti successivi, in una sequenza cinetica di fotogrammi che possono continuare anche nei ritmi calibrati delle dita di ballerine spagnole, o nei codici cifrati delle Mudra di danze dell’India e dell’Asia.
La tecnica pittorica mista di olii e acrilici rifinita da velature sovrapposte e poi graffite con la spatola, concorre a creare un diaframma fra soggetto e spettatore in una visione prospettica il cui fuoco può essere acceso all’esterno o all’interno del fruitore stesso che, come in uno specchio, ne ricava un appunto autobiografico.
La fragilità dell’Io e Il bacio della maschera potrebbero intitolarsi anche la maschera e il volto, perché in realtà si alternano le due maschere teatrali della commedia classica in un gioco alternato delle parti.
Il ritmo sempre più dinamico del racconto si svincola progressivamente da una forma conclusa e plasticamente apolinea per immergersi nella pittoresca estemporaneità illustrativa di Baccanali sacri a Dioniso: altro tema già affrontato dalla Botez nella cupola e nelle vele della cantina d’arte della casa vitivinicola Mastroberardino di Atripalda, dove, nelle nozze di Bacco e Arianna, il “doppio” si evidenzia ancora nel dimorfismo del Bacco con la testa di capro e della donna leopardo.
La libertà dalla costrizione del segno evidenzia l’aderenza ad un espressionismo fantasioso e surreale, non soltanto mutuato da Munch – come nel panello centrale del trittico Metamorfosi 2 – ma soprattutto da una cultura lontana nel tempo, ma più vicina topograficamente, quella del nord-ovest europeo e delle Fiandre, che ebbe uno dei suoi maggiori esponenti in Jeronymus Bosch, precursore del surrealismo, “inventore nobilissimo, maraviglioso di cose fantastiche e bizzare” secondo quanto riferisce lo storico Guicciardini.
Il diformismo delle figure della Botez, la deformazione caricaturale dei volti, come quelli del Cristo che porta la croce di Gand eseguite da Bosch lo dimostrano con chiarezza.
La visione artistica della pittrice, come lei stessa afferma, Alchimie dell’anima, ha trovato la sua pietra filosofale nell’attualizzazione del mito alle problematiche e alle angosce dei tempi reali.
Testo critico in catalogo della mostra personale „Alchimie dell’anima” alla Galleria Mediterranea, Napoli, ottobre 2012