Paolo Levi
Paolo Levi
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Paolo Levi
IL COLORE DI DIONISO
Doina Botez è pittrice di chiara derivazione espressionista. Non si tratta di parentela generica, bensì di una radice specifica che risale all’espressionismo classico, quello nordico, fauve, del primo decennio del secolo, tanto per intenderci.
Doina Botez, la qui sensuale e ricca tavolozza si trasforma sulla tela in una sinfonia di colori e di forme dinamiche, risponde al quesito – con questo ciclo tematico dove Bacco è di casa – sul rapporto tra la nostra contemporaneità e Dioniso.
In queste sue simbologie sceniche del quotidiano, il colore rosso domina con fare virtuoso e forte lo spazio della tela, si sparge sui capelli, lungo i corpi distesi („Baccanale I”), su di un tavolo da pranzo („La canzonetta”) ed è rosso l’abito della fanciulla in un „Tango” sfrenato.
Rosso come il sangue, rosso come il vino. Nell’antica Grecia, il vino simboleggiava il sangue di Dioniso e rappresentava la bevanda dell’immortalità. Nella tradizione biblica il vino è portatore di ebbrezza ed è anche simbolo dello smarrimento che Dio invia agli uomini per punirli per la loro infedeltà.
Cane e padrona ne „I due nel silenzio” sono appunto immagini di solitudine, di smarrimento, di indolente mutismo. La tematica del baccanale è il motivo dominante di un copione inquietante che potrebbe essere recitato sul palcoscenico della tela, all’infinito; esso mette in luce monologhi solitari, come nelle multitonali composizioni „Tempo di carnevale” e „Baldoria”, dove mai l’allegria fu ritratta in chiave cosi disperata.
Doina Botez gioca di pennello e di spatola; in alcuni tratti della composizione il colore pare ispessirsi, coagularsi in timbricità forti e trasparenti, in contrappunti di rosso-sangue e di bianchi improvvisi, avvertimento di possibili luminosità che non sono di questa terra.
E’ pittrice che conosce l’arte del disegno, che si percepisce sotteso al colore tracciato con violenza, vorrei dire con rabbia controllata, che sa essere gestuale, senza mai cadere nell’informale gratuito. Se, a volte, la forma appare sfrangiata, come dispersa nella materia cromatica, tuttavia i particolari di un corpo, o gli sfondi, conservano una loro allusività, una loro poetica riconoscibilità.
A livello formale il colore si stende e si forgia come una lingua di fuoco. Questo rosso è aggressivo, turbinoso come un sole che getta luce sui personaggi solo apparentemente attivi, che sembrano recitare in una commedia consumata, perché troppe volte replicata.
Per ciò che concerne una lettura prettamente simbolica della cromia, il rosso di Doina Botez, a volte associato a pochi tratti di giallo-oro, come in „Baccante”, incarna ardore, bellezza, forza generosa, eros folle, come appare anche più esplicitamente nel lavoro fortemente espressionistico dedicato alla „Lussuria”.
Vesti, capelli, corpi rossi. In queste opere di taglio barocco il rosso non è una dominante solo casuale per questa pittrice, ormai romana d’adozione. A Roma il rosso lo si respira nella scrittura invisibile della Città. „Il rosso – scrive Court de Gébelin – è il colore dei suoi generali, della nobiltà, dei patrizi, dei cardinali.”
E non si tratta solo di superfici cromatiche. Il potere seduttivo, irradiante, di questo colore ha sempre risvegliato l’interesse o la curiosità degli artisti moderni, da Van Gogh ai maestri dell’espressionismo. Il rosso è anche grido e dolore, dell’uomo e della natura. Ma ciò che colpisce maggiormente in queste ricerche figurative è che il nostro intento di decodificare i significati della presenza archetipica di Bacco in queste figure non si ordina su immagini precisate, bensì su volti e corpi informi che paiono improvvisazioni del pennello, o di una mano che si muove col fare accidentale della scrittura spontanea.
Da questi lavori viene in luce una lettura della tradizione pittorica europea, a cui si aggiunge la capacità, del tutto contemporanea e originale, di osservare i propri moti d’animo, di provare stupore ed emozioni e, quindi, di tradurli in immagine pittorica.
La tematica del baccanale è condotta con abilità e rigore stilistico. Si scorge in questi lavori una certa nostalgia per la grandezza dei maestri moderni, quelli che appartengono evidentemente al Museo interiore dell’artista, e uno fra questi è, certamente, Scipione.
Da tutto ciò si può dunque comprendere a cosa mira la poetica di questa signora della tavolozza.
Il suo modo di procedere espressivo si è gradatamente sottratto, nel corso degli anni, ad ogni impulso della immaginazione psico-fisiologica (e questo è evidentissimo nella magnifica impaginazione de „La fattucchiera”) per acquistare una sempre maggiore consapevolezza della poetica dei contenuti e dei messaggi visivi.
Doina Botez appare impaziente nel gesto pittorico. In verità, dipinge con fare „antigrazioso”, portando alla superficie ciò che si nasconde dietro le apparenze della gioia e del piacere. L’interiorità di questa artista appare divisa nel complesso e lacerante dilemma della scelta fra apollineo e dionisiaco, eppure lo sforzo dinamico che governa la sua mano fra questi due poli non costringe all’esclusione, ma consegna a chi sa guardare lo specchio delle sue stesse contraddizioni.
Torino, maggio 1998